martedì 30 ottobre 2007

L'opzione mancante di Google Earth

Teletrasporto.

sabato 27 ottobre 2007

Il velato richiamo del nord



“Ma come? Vuoi già ripartire?”
“Avevi detto che eri tornato per sempre!”
“Perché?”
“E come farai con il freddo?”

Il freddo. Abbiamo paura del freddo.

“Sei pazzo? Si muore dal freddo!”

Noi non abbiamo paura dei killer decerebrati che girano per il grande raccordo anulare, degli speculatori edilizi coi denti d'oro che sghignazzano tra le pieghe dei loro velluti pregiati, della sciagura sociale che incombe sul nostro staterello.
No. Abbiamo paura del freddo.

domenica 23 settembre 2007

Per scontato


Quando il mucchio di vestiti da stirare raggiunge il soffitto, e lo gratta, l'essere umano realizza che è giunta l'ora di stirare. Camicie polo magliette pantaloni. Tutti reclamano a gran voce la propria energica dose di ferro e vapore. E non ci sono sconti né scorciatoie. Non si può imbrogliare. Non puoi stirare il davanti e lasciare il dietro, che tanto.
E allora ti rassegni e dai fondo alle proprie riserve di volontà, quelle che tenevi da parte per occasioni del genere.
E nel mentre del lavoro meccanico manuale primordiale lasci che la mente finalmente libera si aggiri guardinga per territori concettuali prima d'ora inesplorati. “Quando vivevo con la mamma non dovevo stirare”. È così: davi per scontato il fatto che i vestiti che depositavi nel cesto dei panni sporchi ricomparissero dopo qualche tempo nei cassetti o negli armadi, lavati profumati e stirati di tutto punto. A volte, confessalo, a volte osavi lamentarti che quel paio di jeans non era ancora stato riconsegnato, ed era passata quasi una settimana, una settimana! ripetevi, per scolpire bene il concetto e l'indignazione. Davi per scontato. Davi per scontato che la sera quella signora che si aggirava per casa ti preparasse la cena. Al suo richiamo ti sedevi a tavola, scuro in volto, in collera col mondo intero chissà perché, e ti riempivi la pancia di frittate agli asparagi selvatici, di minestroni invernali, di fettine impanate verdure zuppe di pesce risotti al salmone, sapori ormai dimenticati, costretti al silenzio dei sensi, soffocati dall'oscuro dominio di kebab, cibo cinese a portar via, pizza diavola e quattro salti in padella. Davi per scontato. Oggi però non dai più per scontato che qualcuno ti stiri le camicie. Non dai più per scontato che qualcuno ti prepari la cena. Ripensi a quella signora che si aggirava per casa e la guardi con altri occhi. Ti mangi le mani al pensiero che forse un apprezzamento occasionale sulla cena sarebbe stato accolto con infinita riconoscenza e forse lacrime di commozione.
Il mucchio di vestiti da stirare si assottiglia. La mente ormai spavalda si spinge sempre più in là.
Forse, pensi, dai per scontato altre cose. Forse, obnubilato dal torpore rassicurante dello stile di vita occidentale non ti rendi conto. Dai per scontato. Ma non è per niente scontato. Dai per scontato avere sempre da mangiare, un tetto sulla testa, un letto in cui dormire. Dai per scontato l'uscire di casa la mattina e camminare tranquillamente per strada senza esplodere su una mina. Dai per scontato la libertà di scrivere su un blog qualunque cazzata ti passi per la testa, senza doverti preoccupare che qualcuno possa decidere di rinchiuderti in un buco perché la pensi diversamente. Dai per scontato che qualcuno si preoccupi di te, che tenga la tua vita in considerazione, che ti voglia bene. Dai per scontato l'idea di essere importante.
Ma non è per niente scontato.

mercoledì 12 settembre 2007

Nel bagno dell'aeroporto di Madrid, terminal 4



FInalmente qualcosa di interessante da leggere, durante.

sabato 21 luglio 2007

Amsterdam

Giovedì sera.

Quando scendi dal treno nella stazione di una città sconosciuta, la città incuriosita si avvicina, ti guarda, allunga un dito e ti tocca una spalla. Quei primi minuti sulla banchina, nei sottopassaggi illuminati a giorno, con centinaia di persone che ti scivolano intorno, ti senti un sasso in un ruscello di montagna. Allora ti abbandoni alla corrente, cerchi di seguire le indicazioni luminose e infine sbuchi sul piazzale della stazione e ti guardi intorno. Cerchi di farti un'idea: sarà avventura o insofferenza?
Il tram mi lascia su Plantage Middenlaan, a pochi passi dal mio hotel, una tipica casa olandese alta e stretta. Ho prenotato un albergo relativamente economico: la mia stanza è al terzo piano senza ascensore, pulita, comoda. Il bagno è esterno ma privato. Mi va bene.



Esco a cenare, voglio andare al Coffe&Jazz su Leidsegraght, un locale consigliato dalla Lonely Planet. Piove. Con l'ombrello in mano è difficile seguire la cartina. Mi perdo un paio di volte dalle parti del Waterlooplein. Forse conveniva prendere il tram. Raggiungo il locale che ho le scarpe zuppe. Per fortuna il locale e' molto accogliente: c'è un'unica fila di tavolini (cinque o sei al massimo), pochi avventori, atmosfera rilassata, bella musica. Il gestore, decisamente fumato, mi dà consigli sulla cena. Guarda dentro di te, mi dice, preferisci pesce? O carne? Pesce o carne, carne o pesce? Carne, gli dico. Va bene, dice lui, ora pensa al tipo di carne che vuoi, manzo o pollo? Pollo o manzo? Pollo, gli dico, pollo va bene. È andata, con meno di 15 euro mangio un ottimo pollo al curry alla tailandese con riso e salsa alle arachidi.

Venerdì

Piove. Approfitto per visitare i due musei principali: il Rijksmuseum e il Van Gogh Museum. Da vedere. Il secondo soprattutto. La vita, i periodi, le opere, la storia di Van Gogh, non sapevo molto di tutto questo. Il rapporto col fratello, i posti dove ha abitato. L'interesse per le stampe giapponesi. Sono contento di essere venuto qui.

Non piove più: posso girare la città. Bella bella bella. Una vecchia signora dai capelli d'argento con uno scialle elegante ma consumato sulle spalle. Mi tengo lontano dalla Spuistraat, piena di gente, di voci, di apparenze. Visito Joordan e la parte est. Si sta bene. In un negozio compro sushi e tramezzini. Si fa sera. C'e' un tramonto stupendo, da rimanere a bocca aperta. Faccio foto come un dannato tentando di catturare il momento, la luce. Una signora mi si avvicina: Bello eh? dice. Bello davvero, le rispondo. E restiamo lì a goderci il momento, sul ponte, sul canale.



Sabato

Il giorno dopo lo dedico interamente a visitare la città. A mezzogiorno finisco nel mercato di Noordermarkt, a Joordan, dove pranzo con aringhe crude e cipolle. Deliziose! Si sta bene lontano dai flussi turistici, puoi sederti su una panchina e contemplare la vita che scorre, le barchette sui canali, gli olandesi in bicicletta. La sera è il momento che mi piace di più: ci sono bambini che giocano per strada, la gente esce di casa e si siede sugli scalini a bere un bicchiere di vino bianco, ci si rilassa, si sorride. Vorrei far parte di quel mondo.



La notte cala tardissimo su Reguliersgracht, ma l'attesa non e' vana. Lo spettacolo dei ponti illuminati sui canali è impagabile. Mi intristisco un po', torno in albergo.



Domenica

Il treno mi porta all'aeroporto in meno di venti minuti, dal finestrino vedo scorrere i canali e i campi verdi. Sto per ripartire. Sto tornando a casa.

giovedì 5 luglio 2007

Non è fantastico vivere in una città dove tutto quello che ti serve per spostarti è una bicicletta? Non devi preoccuparti di rinnovare l'abbonamento mensile ai mezzi pubblici, niente più ansia per raggiungere in tempo il capolinea prima che parta l'ultima corsa verso casa, per non parlare del poter finalmente abbandonare la tua macchina che, ormai è chiaro, ti odia, ma tu fai finta di niente, anzi, le dedichi attenzioni, la porti al lavaggio due volte all'anno e il tizio polacco del lavaggio ti guarda strano e alla fine ti chiede "ma non lava mai?", e tu t'annusi con discrezione che non si sa mai, sí perché dopotutto tu ci tieni alla tua macchina, non vuoi che si faccia l'impressione sbagliata, non vuoi che si accorga che anche tu la odi profondamente e che, se solo potessi, la abbandoneresti alla prima occasione in un campo lontano sperando che bande di voraci ratti robot ne facciano tanti bocconcini di cibo metallico per i loro piccoli. Credo di essermi lasciato andare.

martedì 3 luglio 2007

Sono uno dei pochi romantici che in macchina fa ancora uso delle frecce per segnalare la propria intenzione di girare a destra o sinistra. Propongo a tutti quelli come me di attaccare un fiocco arancione al tergicristallo posteriore così che ci si possa riconoscere e incontrarci e bere vino la sera su una terrazza con i grilli e tutto e alla fine sposarci.

lunedì 2 luglio 2007

Un anno fa



L'anno scorso, di questi giorni, stavo ultimando i preparativi. Di lì a pochi giorni sarei partito. Emigrato. Avevo fatto il grande passo: avevo accettato una proposta di lavoro da una società estera. A Roma le cose non andavano bene: presto avrei dovuto lasciare la casa in cui abitavo e in cui mi ero trovato bene fino a quel momento, e cercarmi un altro posto dove vivere. Una stanza, verosimilmente, una stanza in un appartamento con altre persone che non conoscevo. Al lavoro mi trovavo male, e con lo stipendio che mi davano non mi sarei potuto permettere di vivere da solo a Roma in affitto, figuriamoci comprare un appartamento. Non ero più disposto a fare quella vita e così avevo accettato la proposta di lavoro all'estero. Alcuni dei miei amici la presero male. Improvvisamente sembrava che si fossero affezionati a me al punto da non volere che andassi via, in alcun modo. Ricordo che in quei giorni stavo leggendo Il Profeta, di Gibran, dove a un certo punto il profeta deve lasciare la sua gente e questi, tra le lacrime, lo pregano di restare. Il profeta allora dice che è proprio al momeno del distacco che l'amore manifesta tutta la sua profondità. Quando quegli amici mi pregavano di ripensarci, di restare, che una soluzione la si trovava, una casa, un lavoro nuovo, tutto quanto, mi sembrava di essere nella stessa situazione del profeta. Uno di questi amici arrivò un giorno a offrirmi la sua casa a Bracciano, mi disse: Prendila, è tua, se non parti puoi andare lì. Probabilmente non diceva sul serio, ma seria o meno che fosse la proposta mi sorpresi a pensare a quale poteva essere il mio futuro a Bracciano. Mi immaginavo vivere vicino al lago, mangiare pesce alla griglia il giorno e la sera, al tramonto, uscire sul lago con la mia barca a remi. Proprio come nella foto.

domenica 1 luglio 2007

Mi sento a casa

A volte, tutto quello di cui hai bisogno è una casa. La tua casa. Una casa che ti aspetta quando sei lontano, che ti dà il benvenuto quanto torni: apri la porta, entri, chiudi la porta, lasci cadere la borsa a terra, chiudi gli occhi, respiri. Sei a casa. Ti senti a casa, finalmente.

Io non ho una casa mia. Ho vissuto per tanti anni con la mia famiglia. Quella era casa mia. Ora forse non lo è più. Ogni volta che torno trovo qualcosa di cambiato. La mia camera è stata trasformata in una sorta di laboratorio. I libri sono stati spostati, ordinati per colore e dimensioni fisiche. Esigenze estetiche, mi ha detto. Non trovo più i miei vestiti. Li ho dati via, tanto non li mettevi più, mi ha detto. La maglietta a maniche lunghe che mi piaceva tanto? Quale maglietta, mi ha detto, forse l'ha presa tua fratello, non lo so, forse era così brutta che l'ho buttata.

domenica 29 aprile 2007

Lista della spesa

Quali autori piacciono a David Foster Wallace? Allora, ecco qui un po' di nomi, raccolti da varie interviste: Don DeLillo, Jonathan Franzen, Amy Homes, Mark Leyner, William Vollmann, Susan Daitch, Lorrie Moore, Richard Powers, Cynthia Ozick, Denis Johnson, David Markson, Louise Erdrich.
Ora, a parte DeLillo di cui ho letto quasi tutto, Franzen (Le correzioni, La ventisettesima città) e la Homes (Una vera bambola, Jack), gli altri mi sono praticamente sconosciuti. Organizziamo una spedizione da Feltrinelli, ognuno compra un libro e poi ce li giriamo. Che ne pensate?
Uhm, c'è qualcuno là fuori?

sabato 28 aprile 2007

Infinite Jest

Chiamatelo romanzo, se volete, ma c'è tutto il mondo dentro. Infinite Jest è il parto della mente aliena di David Foster Wallace. L'edizione italiana della Fandango libri raggiunge le 1434 pagine e supera abbondantemente il Kg di peso. Mi si sono irrobustiti i muscoli della schiena e delle spalle a forza di tenerlo nello zaino per i due mesi e mezzo che ho impiegato per leggerlo tutto. Trapezio, grandi dorsali, infraspinati, e altri ancora. È un libro monumentale, che non manca mai di suscitare stupore, incredulità e sconcerto in tutti quelli a cui mi capita di mostrarlo.
«Oddio non l'avrai letto tutto!»
«Dai! Non scherziamo.»
«Madonna quanto pesa! No, no, senti, io non ce la farei mai...»
Cose di questo tipo.
Eppure.
Eppure chi lo ha letto tutto, chi non lascia a metà strada, chi come lo scalatore sulla cima dell'Everest arriva all'ultima pagina, si sente sperduto, confuso, quasi sconfitto.
«E adesso?» dice tra sé.
Trionfo certo, ma anche tristezza, solitudine, e un accresciuto senso di disagio esistenziale, tutte queste sensazioni ti si mescolano dentro e si diffondono fino al più estremo dei capillari. Niente sarà più come prima, ecco come ti senti. Chiudi il libro, esci di casa con lo zainetto ora incredibilmente leggero, cammini per le strade, ti guardi intorno e ti senti un poco fuori posto (ma poco) e rispondi agli stimoli con ritmi inusuali.
Perché?
Che cosa rende questo libro così speciale?
Ex-lettori di Infinite Jest che vagabondano per le Feltrinelli di mezzo mondo nella sempre più vana speranza di trovare il libro che potrà finalmente soddisfare la fame di... la fame di che cosa? La fame di Infinite Jest stesso! Sì perché da quando abbiamo finito Infinite Jest nient'altro è più riuscito a darci le stesse sensazioni. Ci siamo letti tutti i libri di David Foster Wallace. La scopa del sistema, i saggi, le brevi interviste a uomini schifosi, le ragazze dai capelli strani. Niente. Non è la stessa cosa. Abbiamo comprato i libri della minimum fax la cui quarta di copertina riportava recensioni entusiastiche di DFW stesso per poi buttarli schifati dopo poche pagine. «Che cos'è questa roba?» ci siamo detti.
Lettori insoddisfatti, esseri umani insoddisfatti.
Che cosa rende questo libro così speciale?
È quello che ho intenzione di scoprire.